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Bologna che pochi ricordano
Amor Sacro, Amor Profano
Lucia di Settefonti: una storia d'amore

Amor Sacro, Amor Profano

Permetteteci di condurvi fuori dalle mura della città, per raggiungere le ripide colline ed i lunari calanchi del Parco Regionale dei Gessi, a pochi chilometri dalla splendida Val di Zena. E ancora, permetteteci di raccontarvi una storia d’amore, dell’amore intenso e potente tra Diatagora, conte e cavaliere di una nobile ed antica famiglia bolognese e Lucia, una fanciulla di rara bellezza, povera figlia di povera gente.
 
Si erano conosciuti poco più che bambini nel Borgo di Ozzano, dove trascorsero insieme la stagione più bella della loro vita, tra scherzi innocenti e risa gioiose. Lucia, cosi dolce e graziosa, di esile figura ed animo fragile. Diatagora, cosi robusto ed ugualmente agile, già coraggioso ed audace, protettivo e rassicurante seppur ancora fanciullo. Nei giochi, lei si nascondeva, e lui la cercava; lei scappava, agnellino della favola, e lui, lupo famelico, la rincorreva. Incurante di pericoli, non c’era impresa che rifiutasse pur di farle un dono, fosse una fragola a primavera, una pesca d’estate o un fico d’autunno. E come il tramonto cede il passo alla notte fonda, ed il buio poi si arrende al sole dell’alba, così l’infantile amicizia si trasformò in profondo affetto ed in indicibile amore.
 
Ma quelli erano tempi di guerra. E lui, cavaliere, partì. Applaudito dai Signori, ammirato dalle donne e rispettato tanto dai compagni quanto dai nemici, Diatagora non visse un solo istante di quella nuova vita senza pensare alla sua Lucia. Era lei che lui voleva proteggere, e non esitò un solo istante quando gli fu offerto di tornare, da regnante, alla rocca. Ma Lucia alla rocca ad aspettarlo non c’era. I giorni, i mesi, gli anni per lei ad Ozzano erano passati interminabili, nell’indescrivibile miseria e nella paura di rimanere sola. La speranza di un rapido ritorno si trasformò presto nel presentimento dell’illusione, e poi nella certezza dell’abbandono. Si era fatta monaca, Lucia. Presi i voti in Santo Stefano, fu destinata alla chiesetta di Settefonti, dove era stato costruito, nel 1097, un piccolo convento.
 
Diatagora era un cavaliere e da cavaliere reagì. Non poteva accettare che Dio Padre le portasse via la fanciulla destinata sposa fin dalla nascita da Madre Terra. Era un’ingiustizia, e lui, le ingiustizie aveva giurato di combatterle. E così, pregando quello stesso Dio che stava sfidando, Diatagora partì da Ozzano per andarsi a riprendere la sua Lucia a Settefonti.
 
La rivide, nella chiesetta, nella preghiera, nella luce di una candela, nello splendore della sua immutata bellezza. La chiamò: <<Lucia>> , disse, <>. Un grido di disperazione, una supplica, un attacco per lei dentro a quelle mura dove aveva ritrovato la serenità. E per Lucia, fu immediato il turbamento, il dubbio, la sua intima lacerazione tra la matura volontà di rimanere fedele al giuramento divino e l’incontrollabile desiderio di girarsi per rivedere il suo amore terreno.
 
Ogni pomeriggio Diatagora cavalcava sui calanchi e si recava a Settefonti. Si liberava il volto dall’elmo, legava il cavallo, ed entrava nella chiesa. Assisteva alla messa, unico oltre alle monache, e ascoltava il vespro, solo per ammirare il volto della sua amante amata, cercando in ogni flessione della sua flebile voce, in ogni sospiro, in ogni pausa la conferma del loro antico amore. Non i gelidi inverni, né i torridi caldi, non la neve né la siccità, non la malattia, né la stanchezza poterono interrompere il suo intimo pellegrinaggio, l’intenso, silenzioso, metodico e ripetitivo rito che lo portava, ogni giorno, dalla sua bambina.  
 
Lucia era così turbata dal ritorno del suo amore terreno che si ammalò gravemente. Ma neanche la morte le fu concessa e non le rimase altra scelta che parlare con Diatagora e supplicarlo di partire. Non per rassegnazione, ma come estremo gesto d’amore, lui le obbedì.
 
Montò lo stemma a croce rossa su sfondo bianco e partì verso la Terra Santa per la crociata del Barbarossa. Fu durante la più tremenda e sanguinosa delle battaglie che Diatagora venne sopraffatto dai nemici e condotto in una prigione profonda come l’inferno, nera come il peccato e martoriante come il rimorso. Incatenato e sofferente, colpevole solo di avere profondamente amato, supplicò a Dio perdono e morte. In una notte senza incubi né sofferenza, Lucia, salita in cielo anni prima, gli apparve in sogno, lo prese per mano, lo sollevò e lo condusse a Settefonti. Quando Diatagora si svegliò e si ritrovò salvo in patria, con le catene di prigionia ancora ai piedi, non riuscì a trattenere le lacrime. Le sette fonti della sorgente, prosciugate dalla morte di Lucia, ripresero in quell’istante a zampillare a festa.
 
Lucia viene riconosciuta beata dalla chiesa tre secoli dopo, nel 1508. Le sue spoglie giacciono, insieme alle catene di Diatagora, nella chiesa di Sant’Andrea di Ozzano. Lo stretto calanco, oggi noto come Passo dell’Abbadessa, divenne via di pellegrinaggio per i fedeli fino alla seconda guerra mondiale. Oggi, la valle, il parco, le ripide colline ed i calanchi, sono meta di un turismo nuovo, ecologico, enogastronomico e sportivo.

Non più cavalieri né pellegrini, ma bikers. E la magia dei calanchi, garantito, è da non perdere.
 
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"Staff eccellente"
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Staff eccellente Estrema attenzione all'ospite



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L'Hotel è in centro e a 10 minuti a piedi dalla stazione. La Wi-Fi è gratuita e la colazione è variegata. Non è nuovo, ma è molto pulito e la camera è silenziosa e confortevole. Il personale di questo Hotel è stata una vera scoperta: tutti squisitamente gentilissimi! All'arrivo ho avuto bisogno di cambiare la tipologia della camera senza preavviso e il personale ha fatto il possibile, è stato molto flessibile e davvero carino. Veniamo spesso a Bologna e torneremo qui perchè ci siamo sentiti davvero accolti!



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Giovedì 07 Dicembre 2023
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Venerdì 08 Dicembre 2023
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Sabato 09 Dicembre 2023
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Domenica 10 Dicembre 2023
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Lunedì 11 Dicembre 2023
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Martedì 12 Dicembre 2023
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Mercoledì 13 Dicembre 2023
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VENDITTI & DE GREGORI – GRAN FINALE
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